Alessandro Agudio

Alessandro Agudio (Milano, 1982) è cresciuto in Brianza. Oggi vive a Berlino. Ha esposto al Centre d’art Neuchâtel, la XVI Quadriennale – Palazzo delle Esposizioni di Roma, American Medium e Grand Century di New York, 1m3 di Losanna, La Triennale di Milano, GAM di Milano e Casa Masaccio di San Giovanni Valdarno. Le sue opere si dividono tra sculture e installazioni che indagano il concetto di lifestyle e le forme in cui questo si attualizza. Spesso attinge al patrimonio del design, usato come dispositivo per commentare l’ethos della classe media italiana. I suoi oggetti mirano a rimanere ancorati alla provincia settentrionale della città milanese, la Brianza, nota, appunto, per le fabbriche che producono mobili per la persona media. Questo è un luogo chiave per la sua ricerca che analizza abitudini e paesaggi della provincia. Agudio crea manufatti assimilabili all’ambiente domestico, ma progettati per sovvertirne la percezione. Per lui, gli oggetti d’arte sono merci e devono rimanere frivoli, ovvero amaramente belli. Privilegia i materiali per la loro consistenza e per l’immaterialità unita alla predisposizione a condensare valori socioculturali. 

All’interno di Cremona Contemporanea – Art Week, Alessandro Agudio presenta le sue opere: Hey Hay Bale!, Hey Bale! Hey Hay! presso il Palazzo del Comune.

Alessandro Agudio, Hey Hay Bale!, Hey Bale! e Hey Hay!, 2020, dischi in truciolato riciclato, acciaio inox, 90 x 90 x 90 cm ciascuno – Ph. Andrea Rossetti

“Situato al terzo piano, l’appartamento della mia famiglia aveva due ampi balconi; e ai balconi si accedeva attraverso ampie porte-finestre. Attraverso i balconi e le porte-finestre, il paesaggio domestico e quello circostante diventavano contigui. Le balle di fieno che popolavano i campi intorno al condominio, da quella altezza apparivano come solidi platonici di un quadro metafisico. Questo paesaggio è stato lo scenario in cui sono cresciuto, una campagna ai limiti della città in cui dove finiscono i campi di grano sorgono le industrie e si imboccano le tangenziali. Hey Hay Bale! è una forma costruita tramite l’assemblaggio di dischi in legno truciolare, il quale viene prodotto (attraverso processi meccanici e chimici) grazie ai residui, i trucioli, ottenuti dalla lavorazione del legno e reimpiegato principalmente nella fabbricazione di mobili per l’arredamento di interni. La resa della balla di fieno attraverso questo materiale, è pari alla reificazione delle atmosfere che ho vissuto, del residuo di vita o del surplus di vita che si insegue nei luoghi ai limiti della città.”

All’interno di Cremona Contemporanea – Art Week, Alessandro Agudio presenta la sua opera “Ciao Umberto, ho riguardato le foto della moto. Al momento sembra troppo finita, fermerei qui l’assemblaggio. Lasciala senza catena e cambiamo il pignone, montiamo i fari originali.” presso Triangolo Art Gallery.

Alessandro Agudio, “Ciao Umberto, ho riguardato le foto della moto. Al momento sembra troppo finita, fermerei qui l’assemblaggio. Lasciala senza catena e cambiamo il pignone, montiamo i fari originali”, 2021-2023, componenti del prototipo Borile Multiuso, fusione del faro in alluminio e materiali vari, 198 x 80 x 104 cm con Andrea Bocca, Boiserie europea verde e rossa, 2023, gouache su MDF fresato, jesmonite, 120 x 200 x 4 cm – Ph. Andrea Rossetti

“La prima fase è stata immaginarmi di guidare una moto di Umberto Borile. Ho voluto ritrovare il movente e rendere, nella modalità più veritiera possibile, il processo che mi ha successivamente portato a decidere di esporre una moto incompleta e non funzionante e che, a dire il vero, non potrà mai funzionare. La seconda fase è stata avvicinarmi al suo lavoro e conoscere da più vicino le sue creazioni come la MdV 300 – in dialetto veneto significa Motorea da Vecioti (leggi “moto per vecchietti”) o la Multiuso, una motocicletta che aveva costruito inizialmente per se stesso, per andare a funghi. Avevo chiesto a Borile se poteva costruirmi una moto per le scampagnate durante i periodi di soggiorno nella casa dei miei genitori, ma il mio budget non rendeva fattibile l’intera operazione. Proposi quindi di avviare il processo di realizzazione, nella modalità e con i limiti che le condizioni ponevano. Il titolo è parte dello scambio di messaggi tra me e Umberto durante la fase di assemblaggio dei pezzi disponibili in officina. La moto ha poi subito altre piccole modifiche e restauri e il faro è stato recentemente fuso in alluminio, con l’idea di astrarre e di elevare a quasi-monumento quello che definirei, citando una frase di Salvatore Scarpitta: “un collage mezzo sentimentale”.

Andrea Bocca

Andrea Bocca (Crema, 1996) vive e lavora tra Crema e Milano. Attraverso l’interesse per la pratica scultorea e installativa, Bocca sviluppa il proprio lavoro a partire da un assiduo confronto con le forme dello spazio e degli oggetti che lo circondano. L’interesse nei confronti dell’architettura e del design, gli permette di sviluppare una narrazione che trasforma lo spazio espositivo in un racconto dove ogni forma narra la propria storia comunicando con lo spettatore. L’immaginario rurale da cui proviene, si fonde con quello industriale/urbano modernista, creando un database da cui attingere per rielaborare continuamente nuove forme. Finiture, verniciature, lavorazioni artigianali e industriali divengono segni strutturali della creazione di un paesaggio e di spazi in continuo dialogo tra interno ed esterno. Tra le mostre personali da segnalare: PROPS, curata da Edoardo Monti presso Palazzo Monti (Brescia, 2023); Wet paint, con testo di Luca Cerizza presso BALENO International (Roma, 2021); UKIYO, curata da Ginevra Bria e Atto Belloli Ardessi presso Futurdome (Milano, 2020). Nel 2019 presenta la sua prima personale – VOLVO – dopo aver vinto il premio Sanpaolo Invest.

All’interno di Cremona Contemporanea – Art Week, Andrea Bocca presenta la sua opera Action #1: apple presso Palazzo Guazzoni Zaccaria.

Andrea Bocca, Action #1: apple, 2023, MDF rivestito in tela stampata, acciaio, ruote, 210 x 210 x 155 cm – Ph. Andrea Rossetti

La scultura si sviluppa in quattro pareti di quattro altezze differenti intersecandosi al centro. Ognuna di esse, rivestita di tessuto per legatoria, presenta su di un lato una stampa grafica, mentre sull’altro una superficie riflettente in acciaio. L’immagine scomposta e riflessa nelle varie sezioni è quella di una mela stilizzata, elemento da sempre utilizzato come metodo di paragone per le proporzioni di oggetti e manufatti. La scultura diventa un dispositivo visivo in cui riproporzionare noi stessi riflessi nell’acciaio, l’architettura in cui è collocata e tutti gli oggetti nella quale si imbatte. A cavallo tra scultura, display e micro-architettura, il lavoro diventa contenitore e contenuto di una ricerca basata sulle forme dello spazio e degli oggetti che ridisegnano quotidianamente la nostra realtà. Le proporzioni e l’estetica della struttura fanno direttamente riferimento al lavoro del progettista Robert Probst, ed in particolare al sistema Action Office II per l’azienda Herman Miller. Lanciato sul mercato nel 1967, da lì a pochi anni un uso improprio delle pareti modulari avrebbe dato vita a quello che oggi noi chiamammo il sistema di ufficio cubicolare, ridisegnando la vita lavorativa di migliaia di persone.

Andrea Bocca, Boiserie inglese amaranto-bianca, 2023, gouache su HDF fresato, 60 x 80 x 2 cm – Ph. Giovanni Anselmi Tamburini

Gouache dai colori accesi su porzioni di MDF fresati simulano frammenti di boiserie provenienti da diversi paesi. Elementi nascosti ai bordi delle pareti, solitamente camuffati come prese di corrente e griglie di ventilazione, diventano i protagonisti sovradimensionati dei pannelli sagomati. La boiserie, elemento per eccellenza decorativo a partire dal dodicesimo secolo, si trasforma in elemento grafico e scultoreo dettando il ritmo delle pareti espositive e disegnando così un nuovo paesaggio interno.

Gianni Caravaggio

Gianni Caravaggio (Rocca San Giovanni, 1968) da piccolo si trasferisce con la famiglia in Germania, dove studia filosofia. Torna in Italia per iscriversi presso l’Accademia di Belle Arti di Milano, dove oggi è docente di scultura e punto di riferimento per diverse generazioni di artisti. Le sue mostre personali si sono tenute in istituzioni importanti come il Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea di Torino, la Collezione Maramotti, la Tomio Koyama Gallery di Tokyo, il Museo d’Arte Moderna e Contemporanea di Saint Etienne. Ha partecipato a mostre collettive a livello nazionale e internazionale come la Biennale di Mosca, e la Triennale di Izmir e vinto premi come il PS1 Italian studio di New York. I principali temi della sua poetica sono: iniziare l’immaginazione poetica nel fruitore in quanto intende l’opera d’arte come dispositivo per atti demiurgici. La forma, in questo, è garante dell’esperienza; l’importanza del ruolo dei materiali e le varie possibilità immaginative: in questo le ragioni della forma si coordinano con le precise ragioni dei materiali come elementi evocativi e significativi; le sfide dell’impossibile; la natura politica del gesto artistico; la produzione di senso e forza trasformatrice dell’arte. I risultati sono opere di grande pulizia formale, tese ad indagare l’origine dello stesso gesto artistico. Il lavoro di Caravaggio è spesso declinato sul tema della presenza attraverso la quale trascende di qualcosa di non visibile nell’immaginazione. L’opera deve favorire un’espansione del pensiero attraverso una dinamica che è sensibile e che porta in direzione del senso. L’esperienza nel suo lavoro è sintetizzata in un addensamento tra presenza concreta, memoria e sentimenti archetipo.  

All’interno di Cremona Contemporanea – Art Week, Gianni Caravaggio presenta due opere: Coppia che non si incontra mai Rivelatore di coppie presso Palazzo Affaitati. 

Gianni Caravaggio, Coppia che non si incontra mai, 2019, marmo bianco statuario, due fagioli Azuki rossi, 135 x 23 cm e Rivelatore di coppie, 2008, tubo di ottone, tondino di alluminio, sfere di vetro, terracotta, marmo, bronzo, alluminio, dimensioni variabili ambientali – Ph. Andrea Rossetti

Elemento comune delle due opere è sicuramente quello della coppia, ma in momenti differenti. Nella prima opera, Coppia che non si incontra mai abbiamo una colonna tortile in marmo statutario con due fagioli collocati nelle due scie, questo sta a significare che questi non si incontreranno mai. Si innesca una dinamica esperienziale, una metafora sentimentale: si rincorrono infinitamente i semi di due anime disperse su sentieri diversi. Nella seconda opera, Rivelatore di coppie, la mobilità di questo crea relazioni inaspettate tra i corpi sferici sparsi sul pavimento. È un po’ lo stesso modo in cui agisce “Eros”, varcando i confini fella volontà individuale. È una reinterpretazione del mito, le sfere disposte sul pavimento sono in balia di una struttura metallica mobile.

All’interno di Cremona Contemporanea – Art Week, Gianni Caravaggio presenta due opere: Il tempo mi scorre tra le dita Un polpo e un calamaro si allontanano per ritrovarsi dall’altra parte del globo presso Triangolo Art Gallery.

Gianni Caravaggio, Il tempo mi scorre tra le dita, 2021, bronzo, foglia di palma vera, 35,5 x 197 x 97 cm e Un polpo e un calamaro si allontanano per ritrovarsi dall’altra parte del globo, 2013/2018, bronzo bianco, dimensioni variabili – Ph. Andrea Rossetti

“Il tempo mi scorre tra le dita”, così dice l’artista. Le dita sono le foglie, la mano vegetale appassita e secca trasformata in bronzo e resa immortale. Questa, accoglie un’altra foglia di palma nel momento della gioventù, ma destinata ad invecchiare e assumere col tempo le stesse sembianze, armonizzandosi. Dà vita ad una crasi, opposti che sembrano cercarsi ed avvinghiarsi per ricercare equilibrio, un punto di contatto. Quest’opera parla di tempo, due temporalità (transitorio e veloce della palma e lento e statico del bronzo) che suggeriscono la brevità della nostra esistenza accanto all’eternità. La seconda opera, ovvero Un polipo e un calamaro si allontanano per ritrovarsi dall’altra parte del globo è incentrata anch’essa sul tempo, sullo spazio, sulla coppia e una storia concettuale e sentimentale che va oltre la dimensione umana. Due piccole creature marine adagiate sul pavimento, il loro percorso è indirizzato verso due traiettorie opposte, ma complementari. L’idea è quella di un viaggio intorno al globo terrestre che li vedrà incontrarsi di nuovo dall’altra parte dello spazio. È un decorso, una successione ideale di stati in continuo cambiamento.

Linda Carrara

Linda Carrara (Villa d’Adda, 1984) vive e lavora tra Milano e Bruxelles. Ha studiato presso l’Accademia di Belle Arti di Milano e ha conseguito un master presso la Kask School di Gent. Le sue mostre personali si sono tenute in gallerie importanti come Boccanera Gallery di Trento, Rizzuto Gallery, Gallerie Iraqui di Mosca e l’Italian Cultural Institute of Bruxelles. Ha partecipato anche a mostre collettive a livello nazionale e internazionale, ad esempio a Fondazione ICA Milano, Casa Testori di Novate Milanese o al Contemporary Art Center FABRIKA di Mosca. Anni del suo lavoro sono stati dedicati alla natura morta e alla ricerca materica e tecnica che ne deriva. Carrara ha trovato nella tecnica del frottage un modo per conservare la traccia dei suoi luoghi, prendendone l’impronta senza dare rappresentazione diretta. L’oggetto diventa pretesto e la pittura soggetto di una logica figurativa. I suoi lavori si compongono di vari livelli pittorici, stratificati e sovrapposti. L’indagine dell’artista si sviluppa sulla limitazione umana e l’incapacità di razionalizzare la vita e gli eventi, che si traduce in pittura attraverso la rappresentazione incompleta. Uno stato di sospensione. L’intenzione è quella di evocare, senza raccontare nulla, in bilico tra realtà̀ e finzione. 

All’interno di Cremona Contemporanea – Art Week, Linda Carrara presenta, presso il Palazzo del Comune, un nucleo di opere composto da: Polittico (chôra), False Carrara Marble e La Prima Passeggiata che segnano la prima tappa dell’artista nella città.

Linda Carrara, False Carrara marble, 2018, grafite e gesso su trave di rovere antica (1800 ca), dimensioni variabili – Ph. Andrea Rossetti

Questo elegante percorso di opere è posto in relazione con un altro lavoro, frutto di un dialogo, installato presso il laboratorio di restauro in via Robolotti. Carrara ha scelto di intervenire nel progetto con delle opere pittoriche dove emerge lo studio, sviluppato dall’artista negli ultimi anni, del frottage che realizza con la pittura ad olio. Questa tecnica permette di rubare la forma di un oggetto attraverso i suoi dettagli, ma senza rappresentarlo, prendendo direttamente dal reale. Reale e immaginario naturalistico sono qui sempre in relazione, basti pensare, ad esempio, all’installazione pittorica Chôra o alla serie dei “falsi marmi di Carrara”, che si ricollegano all’aspetto figurativo e dove decisi vezzi stilistici – come lo scotch come un trompe d’oeil – ingannano il reale. La pittura di Linda gioca in maniera colta sull’aspetto decorativo della pittura dei maestri ai quali si ispira, da Giotto a Beato Angelico. Anche la scelta della rappresentazione pittorica del finto marmo sottolinea il legame diretto con la linfa vitale e il mondo animale, vegetale e umano, elementi che riportano in superficie un flusso di vene. La decisione di installarle in una sala dove il marmo è protagonista è stata appositamente presa per creare un cortocircuito tra ciò che è vero e ciò che è falso, oltre che sul valore stesso della materia. 

Linda Carrara, La Prima Passeggiata, 2023, olio su tela, 90 x 60 cm – Ph. Andrea Rossetti

Maurizio Cattelan

Maurizio Cattelan (Padova, 1960) è uno degli artisti più apprezzati e controversi nel mondo dell’arte. Dal 1993 vive e lavora tra Milano e New York. Ha raggiunto la notorietà internazionale con opere come La Nona Ora, una statua di cera raffigurante papa Giovanni Paolo II colpito da un meteorite, esposta per la prima volta alla Kunsthalle di Basilea nel 1999. Ha esposto nei maggiori musei europei e americani e ha partecipato alle più importanti rassegne internazionali di arte contemporanea. Dal 2010 viene installata la scultura pubblica monumentale L.O.V.E., intervento permanente in Piazza Affari a Milano. Nello stesso anno Cattelan inizia il progetto TOILETPAPER magazine, ideato insieme al fotografo Pierpaolo Ferrari. Nel 2011 l’installazione di duemila piccioni impagliati presentata alla 54° edizione della Biennale di Venezia, è stata oggetto di un vivace dibattito, mentre, nello stesso anno, al Guggenheim di New York è stata allestita la mostra personale, Maurizio Cattelan: All, con tutte le opere prodotte nella sua carriera appese al soffitto, in un ironico gioco sull’abisso. Nello stesso anno viene invitato a Le Monnaie de Paris per una vera e propria retrospettiva. A fine 2019 si tiene una mostra personale delle sue opere principali al Blenheim Palace nell’Oxfordshire: la stessa notte dell’inaugurazione, America, la toilette in oro 18 carati perfettamente funzionante già esposta al Guggenheim, è stata trafugata dalla sede espositiva da furti sconosciuti. A Luglio del 2021 inaugura la personale “BREATH GHOSTS BLIND” presso il Pirelli Hangar Bicocca a Milano e nello stesso anno inaugura la sua prima personale in Cina, “The Last Judgment”, presso il Ucca Museum di Pechino. Alla fine di gennaio 2023, ha inaugurato “WE” al Leeum Museum of Art di Seoul, in Corea del Sud, la sua più grande retrospettiva in Asia. Le sue opere, che prendono forma da oggetti e persone del mondo reale, costituiscono il frutto di una operazione dissacrante nei confronti di arte e istituzioni.

All’interno di Cremona Contemporanea – Art Week, Maurizio Cattelan presenta Ego presso il Battistero.

Maurizio Cattelan, Ego, 2019, coccodrillo tassidermizzato, 433 x 70 x 40 cm – Ph. Andrea Rossetti

Questa nuova opera fa riferimento al più antico pezzo di tassidermia conosciuto: un coccodrillo appeso al soffitto di una chiesetta di Ponte Nossa, in Italia, fin dal XVI secolo. Gli studiosi hanno ipotizzato che i coccodrilli fossero assimilabili ai draghi, come nel racconto biblico di San Giorgio, rendendo così la chiesa un luogo adatto per esporli come prigionieri. Il coccodrillo è qui esposto come contrappunto al cavallo di Cattelan, Novecento. Il coccodrillo, come il cavallo, è un animale carico di significati culturali, di solito l’antagonista dai denti a rasoio delle storie per bambini. La favola di San Giorgio, in particolare, ritrae il cavallo come un valoroso destriero e il “drago” squamoso come nemico.

Nicole Colombo

Nicole Colombo (Monza, 1991) studia all’Accademia di Belle Arti di Milano. Due mostre importanti, tra le sue personali, sono “Shifting Balance”, esposta alla OneRoom Gallery di Londra, e “SAM”, esposta alla BitCorp for Art di Milano. Le mostre collettive, nazionali e internazionali, in cui ha esposto, si sono tenute presso Boscolo Collection Art Programme di Lione, Tube Culture Hall di Milano, Regatta di Düsseldorf e Drina Gallery di Belgrado. L’equilibrio dei contrari è il cardine della sua ricerca. Ogni suo pezzo si concentra sulla relazione che l’opera innesca tra il background emotivo, immaginativo e culturale del fruitore e quello dell’artista stessa. Una costante è la ricerca di narrazioni differenti, col tentativo di arrivare ad un pubblico più ampio e diversificato. Comunica il suo messaggio attraverso la creazione di avatar, personaggi immaginari e oggetti che vengono rimossi dai loro contesti e abitano uno spazio, liberando un nuovo modello narrativo. Combina elementi aggressivi e repulsivi, invitando lo spettatore a esplorare i sentimenti più profondi. I materiali utilizzati sono quelli naturali, come legno, ferro e argilla, combinati con materiali sintetici come resina e plexiglass, creando opere che esaltino il potenziale erotico dei materiali, permettendo al fascino industriale di enfatizzare la qualità artigianale della lavorazione a mano.

All’interno di Cremona Contemporanea – Art Week, Nicole Colombo presenta The Burned (Entropic Dance) Lilith presso il Museo Diocesano.

Nicole Colombo, Lilith, 2021, fibra di carbonio, resina, 60 x 170 x 20 cm e The Burned (Entropic Dance), 2021, pelle, capelli sintetici, acciaio inossidabile, dimensioni variabili ambientali – Ph. Andrea Rossetti

La prima opera, The Burned (Entropic Dance), rappresenta la sublimazione di un momento, di un incontro tra diversi personaggi; la restituzione dell’opera si concentra sull’idea di scambio reciproco, di tentativo di trovare un equilibrio, in un continuo scambio di fragilità reciproche. La frusta, realizzata a mano in ecopelle intrecciata, simboleggia il dualismo presente nell’essere umano. Le mani in plexiglass, altro elemento ricorrente, sostengono i personaggi in una danza in cui si presentano l’uno all’altro e agli spettatori. Nella zona di confine tra disagio e comfort, tra dinamiche di potere e potere della fragilità, tra amore e lussuria, dolore e vulnerabilità, libido e repulsione, corpo e narrazione, l’artista apre spazi di libertà e resistenza.

La seconda opera, Lilith, rappresenta una figura ricca di storia letteraria, portatrice del simbolo della libertà femminile, spesso riconosciuta come demone femminile legato ai fenomeni naturali. Progettata e realizzata dall’artista interamente in fibra di carbonio senza l’utilizzo di un’anima interna, Lilith è una ciocca di capelli che si alza da terra, si dipana avvolgendosi su sé stessa e si libra veloce ed elegante nello spazio. Spesso presenti nelle opere dell’artista, i capelli rappresentano per Nicole soggetti carichi di suggestioni che, a seconda del contesto, sono in grado di incarnare un dualismo che caratterizza la sua ricerca a cavallo tra l’erotico e il perturbante, l’elegante e il repulsivo. L’opera è stata realizzata in collaborazione con Nord Resine nell’ambito del progetto di residenza Ultravioletto. 

Ettore Favini

Ettore Favini (Cremona, 1974) si diploma in pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Milano. Oggi insegna Arti Visive presso la NABA di Milano e Pittura all’Accademia di Belle Arti di Bergamo dove è un solido punto di riferimento per le nuove generazioni di artisti. Ha realizzato installazioni su facciate di palazzi storici, ad esempio in occasione di Parma Capitale della Cultura 2020, o alla Biennale di Tirana nel 2017. Le sue opere sono state esposte in prestigiose istituzioni italiane e internazionali, come MAN di Nuoro, Villa Medici a Roma, Domaine de Chamarande di Parigi, Fondazione ICA a Milano. Nel 2016 pubblica “Arrivederci” con Humboldt Books, che racchiude esperienze e narrazioni fondamentali per la sua ricerca artistica legata ai temi sociali, naturali, storici e territoriali. La sua poetica si caratterizza per la tensione narrativa, racconta storie popolate da genti provenienti da culture diverse. Ascolta storie e narrazioni minori per nutrire opere che raccontino la relazione tra le persone e il loro ambiente, perno della sua ricerca. Sfrutta la memoria individuale per riflessioni generali. Centrale appare anche la questione identitaria, sondata da progetti d’arte partecipata. Le sue opere tendono ad essere specifiche al luogo dal quale originano, ne fa degli organismi vivi e il fruitore diventa parte attiva dell’opera. Da sempre è interessato ad occupare lo spazio pubblico e dialogare con la coscienza collettiva.

All’interno di Cremona Contemporanea – Art Week, Ettore Favini presenta Fragili Rive presso il Palazzo del Comune.

Ettore Favini, Fragili Rive, 2022, cotone e lino, 600 x 300 cm – Ph. Andrea Rossetti

Guido Piovene tra il 1953 e il 1956 intraprende un “Viaggio in Italia” per descrivere il nostro Paese a pochi anni di distanza dalla Grande Guerra, arriverà in una Cremona di ghiaccio, di freddo e di nebbia in cui la punta del Torrazzo si perde nella bruma. La città è descritta dall’autore come una grande azienda modello, un’azienda agricola distribuita sulla “pianura tutta piatta, percorsa da fiumi, irrigata, copiosa d’erbe, di frumento, di latte, bellissima a propria insaputa, abitata a propria insaputa da una profonda civiltà”. Potremmo continuare a citare autori che nei secoli hanno parlato della città e del suo rapporto di amore/odio con il fiume: fonte inesauribile di ispirazione per racconti e leggende, é proprio dal fiume che anche l’artista parte per realizzare la sua opera. L’opera è la rappresentazione del Grande fiume, come un sistema venoso che si diffonde in tutto il territorio per portare l’acqua necessaria, un organismo vitale che oggi è malato. L’artista parte dall’osservazione della sofferenza del Po, lampante in questi mesi, ma che già da qualche anno mostra numerosi problemi. Il fiume, caro all’artista, che spesso diventa protagonista nelle sue opere in “Fragili Rive”, si mostra come un grande tendaggio che accoglierà gli ospiti di Palazzo Comunale, il fiume rappresentato in un leggero fustagno blu applicato su un fondo in lino verde che mima campi primaverili, l’opera è un monito a mantenere e salvaguardare il territorio per evitare che il grande Fiume non diventi solo un ricordo.

All’interno di Cremona Contemporanea – Art Week, Ettore Favini presenta Il Fiume che piange presso Area Frazzi.

Ettore Favini, Il fiume che piange, 2023, n. 4 arazzi, tecnica mista su cotone, 185 x 250 cm cadauno e n. 6 stampe digitali, 180 x 100 cm cadauna – Ph. Andrea Rossetti

L’opera è un’installazione composta da vari elementi, che uniti costruiscono all’interno del tunnel un ambiente immersivo, un percorso. L’acqua è protagonista dell’opera, elemento spesso presente nelle opere dell’artista. Essa è declinata sia negli arazzi a soffitto, che nella video-installazione. Inoltre, la luce interna dell’ex forno Hoffman è stata alterata con delle stampe che coprono le porte, creando così una sorta di illusione dove lo spettatore viene direttamente coinvolto e si sente anch’esso parte dell’opera. Lacrime, acqua e nuvole, speranza e preoccupazione, alla base del lavoro dell’artista è presente l’urgenza di raccontare il cambiamento climatico, ormai drammaticamente evidente. Il fiume che lambisce la città regala e toglie.

Silvia Giambrone

Silvia Giambrone (Agrigento, 1981) vive e lavora tra Roma e Londra. Studia presso l’Accademia di Belle Arti di Roma. Oggi collabora con la Galleria Richard Saltoun di Londra, lo Studio Stefania Miscetti di Roma e la Prometeo Gallery di Milano. Le sue mostre personali si sono tenute in istituzioni importanti, come il PAC Padiglione d’Arte Contemporanea, Museo del Novecento di Milano e Italienisches Kulturinstitut di Colonia. Ha partecipato anche a mostre collettive che si sono tenute a Palazzo Strozzi di Firenze, alla Biennale Arcipelago Mediterraneo di Palermo e al Castello di Rivoli a Torino. Utilizzando diversi linguaggi, come performance, installazioni, scultura, suono e video, il lavoro dell’artista esplora le politiche e le pratiche del corpo con una particolare attenzione alle forme più sotterranee dell’assoggettamento. Indaga la dimensione politica dell’intimità, in quanto è il terreno in cui si radicano le forze più misteriose di ognuno. Opera una ricognizione sul domestico e sulle tensioni più profonde, osservando con sospetto il rapporto tra le relazioni e gli oggetti. Ritiene che la violenza sia un linguaggio, intreccia nei suoi lavori la grazia innata della donna e la violenza che la circonda, spesso accidentale. Richiama la condizione femminile e fa affiorare la frattura sempre più evidente tra eredità patriarcale e vita quotidiana di ogni donna. 

All’interno di Cremona Contemporanea – Art Week, Silvia Giambrone presenta Certe Cose presso il Museo Diocesano.

Silvia Giambrone, Certe Cose, video installazione

Vediamo Silvia Giambrone in questa documentazione video del reading di un collage di scritti scelti e letti da lei per l’apertura dell’omonima mostra personale alla Fondazione Nicola del Roscio a Roma nel 2022. I testi che andrà a leggere sono tratti dall’omonima poesia di Emanuel Carnevali. L’artista vuole condividere dei brani che non hanno direttamente a che fare con il suo lavoro o che raccontano le sue opere, ma hanno una risonanza con esse. Questo video è l’apertura dell’omonima mostra, atipica: non ha cercato un impianto concettuale unitario evidente dove le opere sono declinazione, qui ha seguito una direzione differente, alcune cose possono emergere solo al di fuori di un concetto che le limita. Non sempre gli oggetti mantengono le loro funzioni originarie. Una volta cessata la loro neutralità, mutano di significato e possono diventare “Certe Cose”, trasmettendoci sensazioni e risonanze emotive differenti. Certe volte quegli oggetti sono simbolo di inquietudini, altre volte simbolo di valori condivisi ed eredità culturali. “Certe Cose” sono silenziose e sole, celando però meccanismi sottintesi di potere e assoggettamento.  

All’interno di Cremona Contemporanea – Art Week, Silvia Giambrone presenta Sotto tiro presso Palazzo Affaitati.

Silvia Giambrone, Sotto tiro, 2013, video installazione – Ph. Andrea Rossetti

Vediamo Silvia Giambrone che si fa riprendere dalle spalle in su mentre viene puntata da un laser. Quest’ultimo, secondo le parole dell’artista avrebbe un’interpretazione aperta: “si è sotto tiro, quando si è puntati, mirati. Una sorta di prolungamento dell’occhio dell’antagonista. Un po’ come il mirino del fucile per il cacciatore. Il laser è il tema del video, è una sensazione che sfiora la pelle, ma anche la gestione di un’ansia, in un certo qual modo”. La nudità del corpo e l’assenza di orpelli è vissuta come volontà di rendere presente, senza distrazioni, il messaggio, che comprende l’essere assolutamente “nudi con le proprie ansie, come con le proprie minacce”, con le parole di Giambrone. Lo sguardo dell’artista si posa in continuazione su vari punti immaginari per non dare una fissità assoluta e permettere la casualità degli eventi. Il sentirsi minacciata porta a una reazione istintiva: Giambrone gioca con il laser per esorcizzare il sentimento di paura. Il video finisce privo di conclusione perché la condizione in cui si pone l’artista è continua, e a proposito di ciò commenta: “non mi interessava un’opera chiusa, concettualmente parlando. La considero una modalità pretestuosa e forse persino presuntuosa. Quello che posso offrire allo sguardo altrui è quanto di autentico ritrovo nella mia pratica. E forse proprio nella differenza con chi guarda, che posso trovare un territorio comune, uno spazio di comprensione”.

Christian Holstad

Christian Holstad (Anaheim, California, 1972) vive e lavora tra New York e Brisighella (Faenza). Studia presso l’Istituto d’Arte di Kansas City. Lavora con le gallerie Andrew Kreps di New York, Massimo de Carlo di Milano e Victoria Miro di Londra. Le sue mostre personali si sono tenute all’Università Ca’ Foscari di Venezia, Artissima a Torino e Art Basel di Miami. Ha partecipato anche a mostre collettive presso lo Swiss Institute di New York, il Mori Arts Center Gallery di Tokyo e il Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza. Le indagini dell’artista si concentrano su idee di classe, cultura, sessualità e società. Questi punti sono uniti dall’atteggiamento piuttosto che dal mezzo o dal metodo. Il corpo di lavoro comprende scultura, installazione, performance, fotografia, collage e tessuti, costruendo uno spazio sociale e intimo. La sua pratica ha esplorato luoghi domestici e subculturali, mettendo in discussione nozioni, preconcetti di identità e desiderio. La sua pratica della ceramica ruota intorno al lavoro manuale e alla sperimentazione auto-ideata di opere che nascono dalla sua curiosità e dalla grande passione per l’utilizzo del medium.

All’interno di Cremona Contemporanea – Art Week, Christian Holstad presenta una serie di opere a Palazzo Guazzoni Zaccaria.

Christian Holstad, Clothing Collage (Lillian Hellman), 2007, collage su carta, 166 x 75,5 cm e Resourcing Alternative Energies (Thank You) B, 2006, libri, metallo, cavi, carta, ferro, 45 x 165 x 26 cm – Ph. Andrea Rossetti

Queste sono state appositamente selezionate per creare il percorso elegante, toccante e complesso che l’artista ha immaginato. Holstad si è ispirato al palazzo come scenario, assemblando un gruppo di opere legate alla storia antifascista che esamina attraverso la lente dell’inclusione. Le opere in mostra risalgono a oltre 15 anni fa e, come è tipico della pratica di Holstad, abbracciano un’ampia gamma di tecniche e materiali. Le opere trovano il loro posto in questo spazio denso, avviando conversazioni con i numerosi oggetti e pezzi d’antiquariato.

Invernomuto

Invernomuto è il nome della personalità artistica generata nel 2003 da Simone Bertuzzi (Piacenza, 1983) e Simone Trabucchi (Piacenza 1982). Vivono e lavorano a Milano. Invernomuto è autore di progetti di ricerca articolati nel tempo e nello spazio, da cui derivano cicli di opere fra loro interconnesse. Su una base teorica comune Invernomuto tende a ragionare in modo aperto e rizomatico, sviluppando differenti output che assumono la forma di immagini in movimento, suoni, azioni performative e progetti editoriali, nel contesto di una pratica definita dall’utilizzo tanto disperso quanto puntuale di media differenti. La realtà vi è osservata secondo principi e interessi documentaristici, ma per restituirne una rappresentazione immaginifica e quasi astratta, che apre a margini di riflessione e interrogazione critici. Invernomuto è rappresentato da Pinksummer gallery, Genova. Il loro lavoro è stato presentato in varie istituzioni internazionali tra cui MAXXI, Roma; Kunstmuseum Liechtenstein, Vaduz; Liverpool Biennial 2021; VOID Gallery, Londonderry; 58a Biennale di Venezia; 58th October Salon-Belgrade Biennial 2021; Tate, Londra; Manifesta 12, Palermo.

All’interno di Cremona Contemporanea – Art Week, Invernomuto presenta il progetto Black Med presso Parco Colonie Padane.

Invernomuto, Progetto Black Med – Ph. Andrea Rossetti

Dal Cafè Hafa di Tangeri, dove ci si siede per guardare il mare, al sito archeologico di Pompei, dove palme e colonne antiche sono lo scenario di un passato che risuona ancora. Da Belgrado (2021) a La Biennale di Venezia (2019) a Manifesta a Palermo (2018), il progetto Black Med è stato creato e attivato da Invernomuto sotto le sue diverse formalizzazioni legate al suono e all’immagine. Black Med è un archivio aperto di tracce fruibili dalla piattaforma online blackmed.invernomuto.info e ordinate dal suo algoritmo. Si tratta di una stratificazione di influssi e composizioni sonore che prendono origine dal bacino del Mediterraneo mettendo in dialogo diverse categorie legate, appunto, alla musica. “Outer Rhythms”, “Club Functional”, “Vernacular”, “Grooves”, “Modern Structures”, “Seascape”, “Fieldworks” e “Social Music” sono le otto categorie che narrano i contenuti raccolti dopo anni di analisi e viaggi, collezioni immaginifiche tratte dal web, flussi e commistioni culturali, dialoghi e scambi testuali con studiosi e professionisti sui temi del Mediterraneo. La fluidità dei suoni legati a questo territorio evidenzia quanto in comune ci sia nella storia delle civiltà che proprio li si affacciano condividendo estetiche, narrazioni, folklore che, in Black Med, vengono riprese dai dj delle discoteche riminesi sulle coste dell’Adriatico, fino ai cantautori dei deserti del nord Africa. 
Alle Colonie Padanie gli artisti ricontestualizzano il progetto, facendo i conti con il passato di questo luogo storico che, attraverso il suono e la performance che chiuderà la Art Week, verrà “ascoltato diversamente, ricollocato”.