Silvia Giambrone

Silvia Giambrone (Agrigento, 1981) vive e lavora tra Roma e Londra. Studia presso l’Accademia di Belle Arti di Roma. Oggi collabora con la Galleria Richard Saltoun di Londra, lo Studio Stefania Miscetti di Roma e la Prometeo Gallery di Milano. Le sue mostre personali si sono tenute in istituzioni importanti, come il PAC Padiglione d’Arte Contemporanea, Museo del Novecento di Milano e Italienisches Kulturinstitut di Colonia. Ha partecipato anche a mostre collettive che si sono tenute a Palazzo Strozzi di Firenze, alla Biennale Arcipelago Mediterraneo di Palermo e al Castello di Rivoli a Torino. Utilizzando diversi linguaggi, come performance, installazioni, scultura, suono e video, il lavoro dell’artista esplora le politiche e le pratiche del corpo con una particolare attenzione alle forme più sotterranee dell’assoggettamento. Indaga la dimensione politica dell’intimità, in quanto è il terreno in cui si radicano le forze più misteriose di ognuno. Opera una ricognizione sul domestico e sulle tensioni più profonde, osservando con sospetto il rapporto tra le relazioni e gli oggetti. Ritiene che la violenza sia un linguaggio, intreccia nei suoi lavori la grazia innata della donna e la violenza che la circonda, spesso accidentale. Richiama la condizione femminile e fa affiorare la frattura sempre più evidente tra eredità patriarcale e vita quotidiana di ogni donna. 

All’interno di Cremona Contemporanea – Art Week, Silvia Giambrone presenta Certe Cose presso il Museo Diocesano.

Silvia Giambrone, Certe Cose, video installazione

Vediamo Silvia Giambrone in questa documentazione video del reading di un collage di scritti scelti e letti da lei per l’apertura dell’omonima mostra personale alla Fondazione Nicola del Roscio a Roma nel 2022. I testi che andrà a leggere sono tratti dall’omonima poesia di Emanuel Carnevali. L’artista vuole condividere dei brani che non hanno direttamente a che fare con il suo lavoro o che raccontano le sue opere, ma hanno una risonanza con esse. Questo video è l’apertura dell’omonima mostra, atipica: non ha cercato un impianto concettuale unitario evidente dove le opere sono declinazione, qui ha seguito una direzione differente, alcune cose possono emergere solo al di fuori di un concetto che le limita. Non sempre gli oggetti mantengono le loro funzioni originarie. Una volta cessata la loro neutralità, mutano di significato e possono diventare “Certe Cose”, trasmettendoci sensazioni e risonanze emotive differenti. Certe volte quegli oggetti sono simbolo di inquietudini, altre volte simbolo di valori condivisi ed eredità culturali. “Certe Cose” sono silenziose e sole, celando però meccanismi sottintesi di potere e assoggettamento.  

All’interno di Cremona Contemporanea – Art Week, Silvia Giambrone presenta Sotto tiro presso Palazzo Affaitati.

Silvia Giambrone, Sotto tiro, 2013, video installazione – Ph. Andrea Rossetti

Vediamo Silvia Giambrone che si fa riprendere dalle spalle in su mentre viene puntata da un laser. Quest’ultimo, secondo le parole dell’artista avrebbe un’interpretazione aperta: “si è sotto tiro, quando si è puntati, mirati. Una sorta di prolungamento dell’occhio dell’antagonista. Un po’ come il mirino del fucile per il cacciatore. Il laser è il tema del video, è una sensazione che sfiora la pelle, ma anche la gestione di un’ansia, in un certo qual modo”. La nudità del corpo e l’assenza di orpelli è vissuta come volontà di rendere presente, senza distrazioni, il messaggio, che comprende l’essere assolutamente “nudi con le proprie ansie, come con le proprie minacce”, con le parole di Giambrone. Lo sguardo dell’artista si posa in continuazione su vari punti immaginari per non dare una fissità assoluta e permettere la casualità degli eventi. Il sentirsi minacciata porta a una reazione istintiva: Giambrone gioca con il laser per esorcizzare il sentimento di paura. Il video finisce privo di conclusione perché la condizione in cui si pone l’artista è continua, e a proposito di ciò commenta: “non mi interessava un’opera chiusa, concettualmente parlando. La considero una modalità pretestuosa e forse persino presuntuosa. Quello che posso offrire allo sguardo altrui è quanto di autentico ritrovo nella mia pratica. E forse proprio nella differenza con chi guarda, che posso trovare un territorio comune, uno spazio di comprensione”.